Vecchie e nuove emergenze per vivere meglio

Viviamo sempre in uno stato di emergenza continua perché? Perché quando un fenomeno degenera e non riesce a essere governato dal sistema si decreta lo stato di emergenza.

Così è per il clima per cui da anni studiosi e scienziati hanno denunziato la gravità in cui versa il pianeta con un risultato di assoluta indifferenza o di negazione del fenomeno da parte della classe politica dominante e della gran parte della popolazione. Il rischio dei cambiamenti climatici ormai prossimi a una deriva irreversibile e catastrofica per la vita umana sul nostro pianeta, sembra un tema che interessi soltanto gli attivisti sociali, i giovani e la parte di società che ha preso coscienza della gravità del problema.

L’arrivo sul palcoscenico mondiale di una ragazza di sedici anni, Greta Thunberg che con il suo faccino pulito e con una grinta di chi è convinta della sua battaglia, ha scosso il mondo verso una presa di consapevolezza che del pianeta ne resterà ben poco se non cambieremo stili di vita, processi produttivi, e governance della politica.

Un’altra emergenza contingente è rappresentata dal mondo dell’alimentazione. Un terzo della popolazione mondiale non ha un pasto giornaliero assicurato e migliaia di bambini muoiono di fame, mentre l’altra parte del pianeta ricco non muore di fame ma per le malattie causate dalla cattiva alimentazione. Una grande contraddizione di un sistema mondiale sgangherato dove se da una parte del mondo si muore per fame dalla’altra parte si muore per le malattie legate all’eccesso di cibo.

Oltre all’aspetto quantitativo del fenomeno cibo c’è l’aspetto qualitativo. Adesso sono le multinazionali del food che decidono cosa mangiare attrezzando e rifornendo i banconi dei supermercati di prodotti che arrivano dai mercati globalizzati e spesso sono cibo spazzatura. Il consumatore si fa attrarre dalla bella e colorata confezione, dai premi, dagli sconti e dalle offerte ma pochi si fermano a leggere di cosa è fatto il prodotto che porterà sulla tavola. Qualcuno riferisce che c’è una sorta di accordo di co-marketing mondiale tra il comparto del food e quello farmaceutico: il primo li ammala e il secondo li cura. La crisi economica, certo, ti porta a risparmiare comprando cibo di pessima qualità e a basso costo. Non sempre è così poiché c’è tanta gente che non bada a spese per l’acquisto di un telefonino mentre sta a lesinare sull’acquisto di un pacco di pasta.

C’è un altro rischio e quindi un’altra emergenza cui sono sottoposte le società contemporanee si chiama: sostenibilità umana. Ne scrive Mauro Magatti sociologo della Cattolica di Milano sul Corriere di qualche settimana fa. I sintomi – dice Magatti – sono la fatica di vivere, e riportando i risultati di un rapporto internazionale del World Health Organization rileva che la depressione e i disordini dell’ansia sono aumentati rispettivamente del 54% e del 42% tra il 1990 e il 2015. Altro dato allarmante è rappresentato dalla solitudine che è il riflesso delle profonde trasformazioni strutturali del nostro modo di vivere. Le famiglie costituite da una sola persona sono raddoppiate negli ultimi cinquantanni. Il nostro stile di vita e i nostri modelli comportamentali rendono più difficile riuscire a coltivare e mantenere amicizie stabili e profonde. Il clima sociale delle nostre società dove prevale la paura dell’altro, l’individualismo esasperato ha ridotto il livello di empatia. Da qui nasce il “cattivismo” che avvelena la nostra vita sociale. Da uno studio di taglio psicologico sull’attuale clima sociale – afferma Magalli – si sono rilevate le motivazioni di quello che sta accadendo alla nostra società. Il calo dell’empatia viene attribuito all’aumento del materialismo e del consumerismo che ci abitua ad avere relazioni strumentali e tornacontiste. Il declino della famiglia tradizionale che era la palestra primaria dove s’impara a vivere a condividere e a stare con gli altri ha prodotto un mutamento della struttura della nostra vita sociale con i risultati che spesso sono nelle cronache dei giornali. Ma una società di soli e di arrabbiati diventa un serbatoio di violenza che si può scaricare contro qualcuno. Una tendenza che si registra giornalmente nei social network dove il linguaggio utilizzato è gravido di violenza e d’intolleranza verso coloro che la pensano in modo diverso.

Come uscirne? Una soluzione potrebbe essere quella di mettere al centro della nostra agenda la ricostituzione delle reti sociali e dei corpi intermedi. Il bisogno di aggregazione, di relazioni, di confronti dialettici, di “buonismo” è sempre un bisogno emergente che può essere soddisfatto dalla miriade di associazioni laiche e cattoliche, dai movimenti, dalle Banche del Tempo, dai gruppi spontanei e di base che sono la struttura portante del Terzo settore. Il ritorno ad una comunità portatrice di valori sani basati sulla solidarietà, sull’empatia, sul riconoscimento dell’altro e sull’inclusione sociale è avvertito da tanti, basta mettersi in gioco e abbandonare il modello egoistico e individualista sul quale questo sistema vorrebbe condurci.

Scritto da Armando Lunetta

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