Casa mia, casa tua e casa loro

Fonte: www.comune-info.net

di Martina Pignataro

Servono domande e storie a cui aggrapparci per non arrenderci alla civiltà dell’orrore nella quale siamo immersi, per costringerci a pensare. Domande e storie come quelle che arrivano dal Gridas di Scampia: perché cinque navi di diversi paesi cercano cinque persone disperse in mare durante la visita al Titanic e nessuna nave, invece, si muove per cercare seicento e più naufraghi nell’Egeo? È soltanto una questione di soldi, leggi e confini? O, prima ancora, qualcosa che riguarda il concetto, troppo scontato, di “casa mia”? In cosa consiste la libertà di movimento? Quanto la sete di potere, il profitto e le guerre condizionano quella libertà? Come possiamo qui e ora, in rete e in basso, in tanti modi diversi rifiutare il dominio del denaro e della guerra? Davvero dipende tutto soltanto da quello che decidono in alto?

Carnevale di Scampia
Carnevale di Scampia 2023, foto di Ferdinando Kaiser

Nello stesso lasso di tempo cinque navi provenienti da vari paesi cercano cinque persone disperse in mare, che hanno pagato un prezzo esorbitante, e al fine la propria vita, per regalarsi un tour dell’orrore negli abissi in cui colò a picco il Titanic lasciando morire, in prevalenza, emigranti di allora, imbarcati, sebbene in terza classe, sullo stesso transatlantico dei ricchi signori, e accomunati con alcuni di essi dalla stessa mera sorte. Nessuna nave, invece, si smuove per cercare seicento e più naufraghi che hanno pagato un prezzo per loro esorbitante, e al fine la propria vita, per cercare una vita migliore.

Sono giorni che ci penso, non solo da ora, forse dalla tragedia di Cutro, che non è stata la prima e nemmeno l’ultima. Rifletto sul fatto che no, non si tratta di essere poveri o ricchi, di poter o meno pagare, perché i disperati che muoiono in mare, per qualsiasi motivo lascino il proprio paese, spesso, per quanto poveri, prima ancora di pagare con la vita, hanno pagato un prezzo, per le loro tasche comunque alto, per quel viaggio. Magari si sono indebitati, spesso condannandosi alla schiavitù per ripagare il debito contratto, spesso intere famiglie o addirittura villaggi “investono” su quel figlio della comunità perché parta a cercare fortuna e poi torni a riscattare tutti. Per riportare qualcosa indietro. Molti lasciano famiglie da cui tornare, non sono determinati a insediarsi “a casa nostra”.

E allora sono le leggi sballate, il concetto di confini e, prima ancora, di casa. Già, che vuol dire “casa mia”? Me lo sono chiesta. Per me “casa mia” è quella in cui abito, che è comunque ospitale per tutti, nemmeno ai testimoni di Geova riesco a chiudere la porta in faccia, ma da quando vorrei parlargli di San Ghetto Martire non bussano nemmeno più, ora lasciano una lettera con il sito internet. Troppe porte in faccia ricevute, forse da chi non vuol sentire ragioni e teme il confronto.

Il cancello di casa mia è quasi sempre aperto, sicché, volendo, anche nel “mio cortile” ci si può fare un giro, liberamente, al pari degli animali vaganti. Certo per entrare dentro “casa mia”, va chiesto, più che il permesso, ospitalità. Se volete stabilirvi in “casa mia” per tot giorni, dovremmo quantomeno concordare se sono in casa, se ho un letto, un piatto, un qualcosa che vi occorre. Se venite a far visita a me, dovrei essere presente in casa, altrimenti, se è un appoggio che cercate, bisogna accordarsi per un passaggio di chiavi. Ma se non si tratta di questo, perché mai dovreste chiedere a me il “permesso” di passare sulla strada davanti casa o, se il cancello è aperto, nel mio cortile? Che “doveri” avrei io se voi passaste fuori la porta di “casa mia”?

Il problema, allora, è che va chiesto un permesso, un visto, un’autorizzazione. Se non fosse questo il punto, l’investimento del villaggio sul suo figlio emigrante potrebbe tranquillamente tramutarsi nell’acquisto di un biglietto aereo per un volo low cost o di un posto ponte su una nave sicura, per di più che nel Mar Mediterraneo iceberg non ce ne sono (ancora). Invece non si può, non si può andare liberamente dove si vuole.

Non è solo questione dei migranti disperati: si può decidere di partire per propria scelta motivata o perché si è costretti, e questo da qualunque parte del mondo, ma a seconda degli accordi tra nazioni da ciascun paese si può andare tranquillamente solo in alcuni paesi, mentre altri sono banditi: sarà per via di vecchi litigi o è che non hanno ancora trovato un accordo economicamente conveniente. Ma se si potesse circolare liberamente non “dovremmo” nulla a nessuno, se tutti fossero liberi di andare dove gli pare, non dovremmo “accollarci” il compito di sfamare, ospitare, e, dopo gli svariati tentativi di scarica barile, recuperare naufraghi misti a salme.  Ognuno se la vedrebbe da sé, problemi propri come e dove mangiare, dormire, lavorare. Proprio come in un qualsiasi “viaggio in libertà” per il quale, scelta la meta, si può scegliere il tipo di viaggio che più vi si addice: il viaggio fai-da-te, la guida locale o il tour operator; il campeggio, il villaggio turistico attrezzato, la crociera, il sottomarino o la navicella spaziale e l’alloggio presso amici e conoscenti, o in B&B (che grazie a Arrevuoto sappiamo possa essere sia un “Bed and Breakfast” sia un napoletanissimo “Bell’e bbuono”), o in un albergo a 1, 2, 3, 4, 5 o 20 stelle, a seconda dei gusti, delle esigenze e delle proprie finanze.

Badate bene che anche alcuni turisti devono chiedere visti e permessi e specificare dove vanno e cosa vanno a fare e dichiarare di non avere “carichi pendenti”, anche noi italiani per andare dai nostri “alleati” statunitensi dobbiamo chiedere un permesso e lasciare un recapito di dove andremo e cosa andremo a fare e per quanto tempo e per quale motivo.

Clan Destino

Allora più che seicento navi che, per par condicio, cercano i seicento e più dispersi al largo della Grecia, vorrei vedere una sola nave, magari di quelle grandi da crociera che si incastrano nei nostri piccoli porti, a far da spola tra Africa e Italia, non a salvare migranti, ma a trasportare “passeggeri paganti”. Non sono mai stata in crociera perché non è la mia idea di vacanza, ma quanto potrà costare questo biglietto? Il tragitto è breve e il prezzo, da sempre, lo fa la richiesta… Possibile che nessun “armatore” voglia investire in questa rotta? Non è questione di prezzo, è questione di leggi, come quelle che hanno ingolfato le carceri rendendo un reato il solo essere “clandestino”, senza permessi e senza diritti, nemmeno quelli minimi per potersi costruire una vita propria, in libertà.

Allora va bene, aiutiamoli a casa loro, investendo nelle loro comunità, supportando i giovani nello studio, costruendo scuole e servizi come fanno, da tempo immemore, i dottori di svariate organizzazioni o le varie realtà che organizzano adozioni a distanza, o il circuito del commercio equo e solidale. Io, modestamente, ne sostengo un po’ di questi “aiuti a casa loro” perché credo che se uno non se ne vuole andare dalla “propria casa” vada aiutato, per come e per quanto si possa, con ogni mezzo. Io non ho molti sodi, né molte risorse, ma quello che posso lo faccio, da quasi mezzo secolo. Ho un’adozione a distanza, con il mio compagno, dal 1998, ben prima di avere figli “nostri”, un conto in Banca Etica dal 2000 o giù di li con un contatto preso grazie ai compagni di strada di una bottega del mondo di cui, ora, sto sostenendo, con il prefinanziamento, l’acquisto dei cosiddetti “prodotti coloniali” – caffè, te, cacao… quelli che da secoli lasciano sfruttare liberamente le persone “a casa loro”-, ho comprato e regalato e fatto regalare in giro pezzi di isole in un arcipelago del Nicaragua per sottrarle a speculatori senza scrupoli, il mio primo consapevole azionariato popolare, replicato anni dopo anche dal popolo No Tav, più recentemente pianto alberi in Burkina Faso, per me e per i miei compagni di viaggio. Solo per citare alcuni “aiuti concreti” di una mezza vita, o giù di lì.

Una goccia nel mare: se fossi miliardaria potrei fare sicuramente molto di più, ma sono atavicamente “allergica” ai soldi con i quali non vado d’accordo, percorriamo strade diverse, io sempre in rete e dal basso, con compagni di strada concreti di ogni tempo e ogni luogo loro, i soldi, nelle tasche e nei conti, sporchi di sangue, di chi finanzia tutt’altro. 

Soprattutto mi impegno a costruire la Pace, nei rapporti personali e nel mondo. 

Anche lì, dati i miei umili mezzi, sarebbe una battaglia persa in partenza, ma non per questo da abbandonare: mai darsi per vinti, più che vincere battaglie, preferisco contagiare persone e costruire il mio cammino con variazioni di percorso che lo migliorino, grazie all’incontro di nuovi compagni di viaggio che possano insegnarmi strade nuove e indicarmi vicoli ciechi che potrei star per prendere senza i loro insegnamenti.

Smettiamola, semplicemente, tutti, di alimentare guerre, impoverire con perenni saccheggi di risorse, i territori. Non finanziamo né giustifichiamo più guerre che ci “appartengono” solo perché sono ottime fonti di guadagno per chi governa i nostri stati, fa accordi d’amicizia a senso unico e decide, a tavolino, da quali linee immaginarie passano i confini e dove finisce casa mia, casa tua, casa loro e casa nostra… che di li a diventare “Cosa Nostra” è una vocale… E per me, invece, il globo intero è “casa nostra”, di tutti gli esseri viventi che potrebbero benissimo rispettarsi a vicenda e vivere in pace e in armonia.

A parte Banca Etica, ché è l’unica banca che non finanzia guerre, non ho citato volutamente altri, perché le possibilità, i circuiti, sono davvero tanti, e diffusi ovunque. Basta cercare la realtà più vicina e più affine alle proprie inclinazioni per fare la propria parte e, da che mondo è mondo, esistono i boicottaggi mirati a marchi e compagnie che fanno il gioco sporco, sui temi più svariati, anche lì basta seguire le proprie inclinazioni e, soprattutto, informarsi su quali sono le conseguenze dei nostri acquisti, delle nostre azioni, delle nostre scelte.

Gridas
Dalla pagina del sito del Gridas dedicata al Carnevale 1998

Questa non è storia di oggi, purtroppo. Stiamo ristampando il libro sui carnevali del GRIDAS: il primo L’Utopia per le strade uscì, autoprodotto, nel 1998 per i quindici anni di Carnevali del GRIDAS e si fermava al corteo del 1997 e alla relativa locandina linoleografata, dal titolo ’E ddenare nun se ponno magnà (ossia: i soldi non si possono mangiare). Ebbene, il titolo del 16° Carnevale, nel 1998, era: Turisti e/o emigranti – addò vann’ ‘e ddenare’ (dove vanno i denari). Il corteo della domenica a Scampia era collegato, nel 1997 con quello dei Quartieri Spagnoli e quello di Bagnoli, nei due giorni successivi, nel 1998 con quello di Bagnoli, due giorni dopo. Ora i carnevali sociali a Napoli e “dintorni allargati” sfiorano la quindicina. Lo raccontiamo nel libro aggiornato che uscirà a breve per la Marotta&Cafiero editori, casa editrice di Scampia con cui condividiamo la stessa visione del mondo che concretizza utopie di singoli, rendendole sogni collettivi.

Abbiamo sempre fatto rete, abbiamo sempre denunciato le storture della nostra società attraverso l’allegoria del Carnevale o in qualunque altro momento ce ne fosse bisogno, con ironia, allegoria, ma molta, molta determinazione e, soprattutto, con proposte concrete che noi per primi siamo soliti mettere in atto, per dare l’esempio, ma anche perché è la sola vita che ci piace vivere, perché che un altro mondo sia possibile lo crediamo davvero e proviamo a costruirlo dal basso.

Qui le pagine del libro in ristampa con quelle locandine, perché nella ristampa abbiamo aggiunto anche quelle successive.

Gridas
Dalla pagina del sito del Gridas dedicata al Carnevale 1997

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